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domenica, 07 settembre 2008 | |||||
Poeta nato a Roma il 7 settembre 1791 e morto a Roma il 21 dicembre 1863. Giuseppe Gioachino Belli. Il poeta che ha reso il dialetto romanesco lingua letteraria Hanno detto di lui: “Ma il Belli, scrivendo a Roma, nella roccaforte dell’oscurantismo, dove le notizie dei tentativi di rinnovamento della Lombardia (o di Napoli) assumevano un colorito favoloso; scrivendo in una città dove i privilegi e le ipocrisie duravano da secoli, senza mutamento, attribuisce giustamente ai suoi popolani una filosofia di sorridente rassegnazione (del resto il Belli stesso era un inveterato conservatore). I protagonisti del Belli sono meno drammatici di quelli del Porta perché nella ribellione verbale scaricano ogni impulso all’azione; su di essi, anzi, finisce per riversarsi la corruzione dei dominatori, confondendoli con essi” (Cesare Segre) “L’immagine che Belli si forma della plebe romana, ‘abbandonata senza miglioramento’, nega ogni intento positivo alla sua poesia: egli non cerca una simpatia, una partecipazione, una solidarietà con il mondo rappresentato. Nella scelta di quel linguaggio e di quel mondo egli rifugge da ogni identificazione, riconoscimento di sé, affermazione di valori individuali o collettivi: l’uso del dialetto romanesco esprime invece, fino a farlo esplodere, un senso, a lungo covato e represso, di insoddisfazione, che pesa su tutta la vita dell’autore e non riesce ad esprimersi nella sua produzione letteraria ufficiale. Far parlare il popolo romano, estraneo alla storia e alla cultura, senza alcuna speranza, significa fare una letteratura che non cerca nessun ideale e nessuna illusione e nega valore sia all’individuo sia alla società, con un estremismo tragico ignoto al Romanticismo italiano. L’eccezionale singolarità della poesia di Belli consiste nel fatto che questo estremismo tragico si realizza non attraverso una indagine sui meandri e le complicazioni dell’io, ma attraverso una potente rappresentazione della più concreta vita quotidiana, uno scatenamento di irrefrenabili forme comiche e grottesche” (Giulio Ferroni) “Tra le poche vette che emergono nel paesaggio collinoso della poesia italiana dell’età romantica, spiccano quelle rappresentate dall’opera di Carlo Porta e Giuseppe Goiachino Belli. Il riconoscimento della loro grandezza, oggi unanime, si manifestò con faticosa lentezza: vi ostava la tenace resistenza del pregiudizio circa la costitutiva inferiorità del dialetto”(Pietro Gibellini) | |||||
http://www.fondazioneitaliani.it/index.php/en/Giuseppe-Gioachino-Belli-biografia.html | . | Last Updated ( venerdì, 21 novembre 2008 ) |
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.DUECENTO SONETTI, di Giuseppe Gioachino Belli - pagina 1
- [ Traduzir esta página ]Nella seconda metà del secolo XV, poco lunge da codesto avanzo di statua teneva la sua botteguccia un sartore nominato Pasquino, che era uomo molto allegro, ....
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